CHugo Cabret, viaggio al cinema delle origini

Stefano Gambelli

Laboratori di didattica del linguaggio cinematografico

 

Docente d’aula: Tina De biasi, Roberta Palazzetti, Daniela Severini

I.C. ”Faà di bruno” Marotta
I.C. “M. Polo” Lucrezia classi 1° D e 2° b, scuola secondaria di 1° grado

 

 

 

All’inizio del suo Viaggio nel cinema americano (1995), Martin Scorsese, davanti alla macchina da presa, racconta che da ragazzo, intorno agli anni ‘40 e ‘50, trascorreva molto tempo al cinema: era ossessionato dai film. “All’epoca non si trovava niente da leggere sul cinema tranne un libro, il mio primo libro sul cinema. Non riuscivo a trovarne una copia; ce n’era solo una disponibile presso la biblioteca pubblica di New York, l’ho presa in prestito più volte. Si intitolava La storia illustrata del cinema di Deems Taylor ed era un volume illustrato con fotografie in bianco e nero, anno per anno fino al 1949. [A questo punto Scorsese apre il volume che tiene in mano e lo sfoglia: inquadrate in dettaglio riconosciamo immagini di film celebri, Chaplin, Ford, Welles…]. Quel libro mi ha stregato. A quei tempi non avevo ancora visto molti dei film indicati dal libro, per cui tutto ciò che avevo a disposizione erano quelle fotografie in bianco e nero. Passavo il tempo a fantasticarci sopra, quelle immagini arrivavano sin dentro i miei sogni…”.

Sedici anni dopo il Viaggio, in Hugo Cabret (2011) Hugo e Isabel- le, gli adolescenti protagonisti del film, su indicazione del libraio signor Labisse, si recano alla Biblioteca dell’Accademia Cinematografica (siamo nella Parigi del 1931), dove potranno trovare tutto quello che serve sapere sul cinema. Aprono e sfogliano L’invenzione dei sogni. La storia dei primi film, di René Tabard. In consonanza con le fantasticherie del regista americano, le immagini si animano, e noi vediamo scorrere fotogrammi primevi: L’arrivo del treno alla stazione di La Ciotat (1896) e L’uscita dalla fabbrica (1895) dei Fratelli Lumière, Il bacio (1986) di William Heise per Thomas Edison, La grande rapina al treno (1903) di Edwin S. Porter, e ancora Charlie Chaplin, Buster Keaton, Tom Mix, Louise Brooks, Douglas Fairbanks… fino a soffermarsi sul Viaggio nella luna (1902) di Georges Méliès, elemento centrale della storia. La somiglianza e la coincidenza tra la scena evocata e la scena filmata non stupiscono conoscendo la cinefilia di Scorsese.

Ma tra Scorsese e Hugo Cabret c’è Brian Selzenick, illustratore e scrittore statunitense, maestro di narrazioni visive, geniale autore del graphic novel La straordinaria invenzione di Hugo Cabret (Monda- dori, 2007) da cui il film è tratto e dove, con alcune piccole variazioni, è presente quella medesima, centrale, scena della scoperta. Nel li- bro Hugo è solo e non in compagnia di Isabelle, e tra i film citati com- paiono soltanto L’arrivo del treno alla stazione de La Ciotat , “uomini che giocano a carte (La partita a carte, 1895 dei Lumière) e “persone che escono da una fabbrica” (L’uscita dalla fabbrica)”, per poi, meraviglia!, arrivare a Méliès e al suo Viaggio nella luna.
Libro di Selzenick e film di Scorsese, oltre ad essere due inconfondibili opere autoriali, costituiscono l’occasione per un affascinante viaggio nel cinema delle origini e del cinema muto, ricco di citazioni e di rimandi.

Viaggio, nel nostro caso, intrapreso dagli studenti delle due classi coinvolte nel laboratorio di didattica del linguaggio cinematografico, attraverso un gioco di andate e ritorni tra presente e passato: di spettatori, lettori, iconauti, in analogia con i due giovani protagonisti Hugo e Isabelle.

Come anche riportato nei crediti, nel libro ritornano: L’arrivo del treno alla stazione di La Ciotat, Viaggio nella luna, Gioco di prestigio su una donna al Robert-Houdin (1896, di Méliès), Preferisco l’ascensore (1923, con Harold Lloyd), Un orologiaio (1931, car- tone animato della serie Walt Disney Silly Symphonies), Parigi che dorme (1924) e Il milione (1931) di René Clair). Ma l’autore non si ferma qui: indica anche alcuni film di registi citati nel li- bro: Il monello (1921, di Charlie Chaplin), La palla n. 13 (1924, con Buster Keaton) e La piccola fiammiferaia (1928, di Jean Renoir). E ancora tre film importanti per la creazione della storia disegnata: Zero in condotta (1933, di Jean Vigo), I quattrocento colpi (1959, di François Truffaut) e Sotto i tetti di Parigi (1930, di René Clair). Per finire, egli ringrazia alcuni docenti di filmologia che, oltre a che cosa vedere, gli hanno suggerito quali film sarebbero piaciuti a Hugo e Isabelle, giovani spettatori degli anni Trenta.

La “ricezione dei testi”: anche i nostri ragazzi e le nostre ragazze hanno apprezzato, dopo il primo, inevitabile spaesamento, i “vecchi” film, quegli stessi Lumière, Méliès, Lloyd, Keaton. Soprattutto, li hanno incuriositi. Curiosità, varco sensibile al lavoro dell’analisi. A patto che la s’intenda davvero come impresa costruttiva e aperta, finalizzata ad un’intelligibilità profonda del film: entrare nel testo audiovisivo, e capire, penetrando in esso, come muove le emozioni, come architetta il racconto, come svolge la storia. Storia nel film e storia del film, resa più complessa, e forse appassionante, nel nostro caso, da quei passaggi intermediali, da quei processi di traduzione da una forma visiva e letteraria ad un’altra, audiovisiva.

Selzenick, per tornare all’autore del graphic novel, come sempre si dimostra scrupoloso nel ricostruire la genesi della sua opera e nel fornirci elementi che esulano dalla fabula. Proviamo a formulare delle ipotesi su queste citazioni e questi rimandi, così come fatto con i giovani spettatori/lettori. Alcuni titoli sono intrinsecamente legati alla storia, al personaggio di Mèliés, alle origini del cinema o a ciò che capita nella realtà o nel sogno ad Hugo Cabret (si veda L’arrivo del treno alla stazione di La Ciotat, Preferisco l’ascensore e Un orologiaio: Hugo salvato all’ultimo istante dall’Ispettore Ferroviario dal treno che sta per investirlo, Hugo pericolosamente sospeso nel vuoto aggrappato alla lancetta dell’orologio, Hugo che si occupa all’interno della stazione della manutenzione degli orologi). Altri hanno a che fare con uno dei temi del film: la solitudine e le difficoltà dell’infanzia e dell’adolescenza (Zero in condotta, I quattrocento colpi, Il monello, La piccola fiammiferaia; e la commovente e fantasmagorica opera di Renoir trova anche un aggancio letterario nel corpo del testo: “il padre gli leggeva [a Hugo] fantastiche storie d’avventura di Jules Verne e una raccolta di favole di Hans Christian Andersen, le sue pre- ferite”). Più nascosti, ma preziosi, altri legami: l’inesistente, nella realtà, professor René Tabard, autore de L’invenzione dei sogni. La storia dei primi film, è omonimo, guarda caso, del giovane ribelle del film di Jean Vigo; e la lunga “carrellata” dall’alto in avanti che apre sia il libro di Selzenick che il film di Scorsese sembra trovare

ispirazione nella sequenza iniziale de Sotto i tetti di Parigi di René Clair. A proposito di questa lunga carrellata d’avvicinamento è stato giustamente notato da un giovane spettatore nel corso del laboratorio che, mentre i disegni del graphic novel si concludo- no con il particolare dell’occhio di Hugo che, nascosto, osserva e scruta il piazzale ferroviario dalla feritoia dell’orologio della stazione che segna le ore 5, nelle immagini di Scorsese questo numero è sostituito dal 4. Giusta anche l’ipotesi formulata: dal 5 al 4, per permettere al regista di inquadrare, grazie alla diversa forma grafica, entrambi gli occhi del protagonista e dare così più intensità al suo sguardo.

Non tutto (ma molto sì) di quel che si è detto di citazioni, rimandi, richiami, è stato possibile ricostruire nelle ore trascorse con alunni e insegnanti a visionare, analizzare, porre a confronto film, graphic novel, antefatti letterari e matrici visive. Quel tanto tuttavia sufficiente a creare una immagine movimento del cinema stesso. Indietro, indietro, indietro ancora, e poi avanti, vertiginosamente, come nella lunghissima carrellata d’apertura: perché il cinema, nella percezione come nella ricezione, nella rappresentazione come nella narrazione, va avanti e indietro. Come nelle parole che Scorsese, pressoché a conclusione del film, fa ironicamente proferire a Georges Méliès in una amichevole diatriba con il professor René Tabard: “Lo zootropio? Ogni studio sulla storia del cinema deve iniziare con i pittogrammi della grotta di Nyon…”.