Dentro un aggeggio di legno riguardavano controluce delle immagini doppie che risultavano in rilievo: il
terremoto del Messico, le Piramidi, Piccadilly, e il Moulin Rouge. Era un mulino a vento intorno al quale
andavano su e giù con i sacchi di farina figurine di scheletri bianchi con gli occhi fiammeggianti. Se si
guardavano dopo, sul comodino, le figurine erano diventate piatte, e si poteva osservare la carta rossa
incollata dietro i buchi degli occhi. Ma se si rimetteva il cartoncino, e si tornava a guardare, tornava la paura.
Io lo chiamavo l’Inferno.
(L’Autrice racconta di aver avuto paura dei mulini, da piccola. Introduce così la descrizione dello
stereoscopio: “C’era ancora un mulino, forse il più pauroso, ma in modo piacevole, senza rischio”).
Lalla Romano, La penombra che abbiamo attraversato, Einaudi, Torino 1990, p.53